Napoli mai più anima e core

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Data: 7 luglio 2005
Giornale: Panorama

DISAGIO IN MUSICA.SOLISTI E GRUPPI PARTENOPEI SUONANO IL MALESSERE SOCIALE

di Gianmaria Padovani

C'era una volta la Napoli dei cantanti neomelodici, una città apparentemente abitata solo da ragazzine che si confessano «Chillo va pazzo per te...» e scugnizzi che si tormentano perché «...quella che ho baciato era mia cugina». Una Napoli dove 'O latitante, pezzo forte del cantante Tommy Riccio, canta la dura vita di un camorrista fuggiasco e lancia un nuovo tipo di eroe romantico, non proprio senza macchia.
La Napoli dei tanto celebrati neomelodici però non esiste. Lacerata dalle guerre di camorra e da una violenza di strada che forse i napoletani avevano dimenticato durante la «rinascita» degli anni Novanta, la città sul golfo vive però un momento di incredibile creatività musicale.
Che i due fatti, tensione sociale e boom creativo, vadano a braccetto lo dicono quasi tutti i musicisti contattati da Panorama. «Due settimane fa mi sono trovato con una 9 mm puntata alla tempia per un telefonino da 20 euro» racconta Luca Caiazzo, nome d'arte Lucariello, nato 28 anni fa a Scampia, degradato quartiere diventato il sanguinolento palcoscenico dello scontro tra il clan Di Lauro e i cosiddetti scissionisti. «In città oggi c’è una tensione molto forte, ed è incredibile: non ho mai scritto tanta musica come adesso». Lucariello è uno dei più famosi tra i musicisti che incarnano questa rinascita musicale della città; creatore nel 1997 del Clan Vesuvio, un gruppo di musicisti accomunati dalle origini e dal suono partenopei, dal 2002 è diventato membro dello storico gruppo degli Almamegretta.
Insieme con La famiglia, il trio di musicisti che da anni tiene alta la bandiera dell'hip hop napoletano (in questi giorni ai piani alti delle classifiche con il singolo Amici, un pezzo che fa la parodia della pornmobiletrasmissione di Maria De Filippi), è uno dei portabandiera di questa nuova ondata sonora ancora poco esplorata dalle grandi etichette discografiche. Sonorità e tematiche hanno ormai poco a che vedere con la tradizione musicale napoletana, l'ispirazione viene dalla Gran Bretagna e da oltreoceano. La parola d'ordine è «contaminazione».
Città dalle molte contraddizioni, Napoli non smentisce questa fama neanche nella sua rinascita musicale. Sul golfo sono germogliati e convivono due modi assai diversi di giocare con le note. La prima famiglia segue il filone dell'elettronica e sembra quasi ripudiare la napoletanità. Gruppi come i Minimod, i cui componenti Zaira Zigante (da qualche mese voce femminile degli Almamegretta), Alan Vele e dj Iguana hanno lanciato un disco tutto in inglese a cominciare dal titolo, Metal age. I Frame, un duo composto da Leandro Sorrentino e Davide Mastropaolo, musicisti che dal pianoforte e dal sassofono sono passati all'elettronica minimalista, in città non hanno mai suonato, quasi a confermare la volontà di tagliare le radici. Dei Frame sono le colonne sonore dei due film di Nina Di Majo Autunno e Inverno, e il loro ultimo lavoro, Afo 4, è un cd-dvd a cavallo tra musica e performance d'arte contemporanea realizzato, sempre insieme alla regista Di Majo, all'altoforno 4 dell'Italsider.
Altre realtà di quest'ondata di «elettronapoletani» portano nomi come Pixel, Polina, Retina e Madox. Musica elettronica e testi (quando ci sono) non hanno nulla a che vedere con quello che succede in strada. Dal sottoscala nel centro storico dove i Frame campionano, assemblano e compongono i loro suoni minimali, Leandro Sorrentino spiega questo strano momento creativo vissuto dalla città: «Oggi le possibilità sono due: o fuggi da Napoli, oppure scappi dalla realtà opprimente dedicandoti a una qualche forma artistica».
L'altra grande famiglia musicale che sta fiorendo a Napoli è quella dell'hip hop. Oltre ai già citati Almamegretta e La famiglia, ecco nomi come Puazza crew, Fuossera, Speaker Cenzou, Nevrotype. Ci sono gruppi che virano più verso il reggae, come i Torreggae, i Codice 22, i Bruciatown e gil Erbapipa, e altri più fedeli all'ortodossia del rap, come i Co'sang. Quest'ultimo gruppo, un duo di rapper giovanissimi (Antonio Riccardi ha 23 anni e Luca Imprudente 24), racconta la vita nelle strade di Marianella prendendo di mira con ferocia lo stile di vita della malavita dei vicoli e delle periferie degradate con canzoni come “Ind 'o rion'” (Nel rione, brano del loro ultimo cd Chi more pe' mme), un cui verso recita: «Non sono il classico "piscione" di Napoli/che ascolta D'Alessio e dopo fa gli occhi cattivi/io li schifo tutti quanti/tutta la coca che tirano ai matrimoni». Lo stile è quello dell'hip hop made in Usa, ma l'ispirazione viene dai vicoli.
«Napoli ha sempre avuto questa creatività “prensile” che pesca da altri paesi» rileva Renzo Arbore. «Basti pensare alla musica di Peppino Di Capri che a suo tempo si rifece ai Platters. Questo nuovo fermento? È un buon auspicio, anche perché molti dei neomelodici non sono all'altezza del prestigio della musica napoletana» conclude.
Curiosamente, rileva Lucariello, un po' di merito per questa iniezone di nuovi suoni va alla non molto amata (almeno dai rapper più impegnati) base Nato di Capodichino, il cui personale americano ha fatto in modo che molti nomi d'oltreoceano passassero dai palcoscenici di locali diventati punto di riferimento del genere come lo Square, il Millennio, il Velvet, il Vibes e l'Arenile di Bagnoli. Locali talvolta enormi (il Millennio puo arrivare a contenere più di 2 mila persone) dove si organizzano sfide rap all'ultima rima in napoletano.
Proprio il dialetto può essere il limite alla diffusione e al successo di questa nuova onda sonora. Irene La Medica, voce r'n'b che su Radio Deejay cura il programma-contenitore di riferimento, Soulsista, osserva: «Fino a ieri era il limite dei gruppi meridionali. Ma il successo che sta conoscendo La famiglia ha dimostrato che non sempre è cosi. Certo è che anche i network radiofonici devono imparare a rischiare».

Aggiornato Giovedì, 08 Settembre 2005
Ultimo aggiornamento ( Martedì 28 Luglio 2020 12:06 )