Richiamo Africano

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Data: giugno 1993
Giornale: Fare Musica
di Claudio Mapelli

Rivendicano radici africane, autodefinendosi “Figli di Annibale”, come recita il pezzo che dà il titolo al loro EP, distribuito dalla BMG

La loro musica è una miscela di reggae, rhythm & blues, canzoni napoletane d'altri tempi, nenie arabe. A completare il tutto si aggiungono testi espliciti, snocciolati da Rais, un cantante che ha la lingua sciolta nel rappare, ma che non disdegna aperture melodiche e gorgheggi.
Nei vostri testi vi sono dichiarazioni di appartenenza ad un'area, non solo geografica, "terzomondista", appelli alla pace universale, ma anche una scelta di campo precisa, che testimonia la vostra posizione riguardo ai problemi sociali della vostra città...
«È fondamentale che tutti sappiano chi sono realmente i buoni e i cattivi, al di là di quello che cercano di farci credere con le fesserie che raccontano su mafia e camorra. A Napoli c'è una situazione terribile: quando un giovane che vive nei quartieri degradati, che non è mai andato a scuola, "sceglie" di "militare" nella manovalanza della camorra, è una scelta che fa non in piena autonomia. Nell'Italia dei manicheismi, che divide la lavagna in buoni e cattivi, il nostro è un invito a ragionare lucidamente, ad operare delle distinzioni. Dedichiamo canzoni non ai boss, ma ai corrieri della droga che si fanno sparare per due lire, all'angolo di una strada ...»
Interviene Torchio, il batterista (soprannome appropriato, credetemi!):
«Considerate le condizioni del sud non c'è da meravigliarsi che mafia e Camorra si siano sostituite allo stato, trovando terreno fertile. Accenniamo anche ai modelli che vengono proposti, o imposti, continuamente. Ore ed ore davanti alla televisione, sorbendo tutto quello che ti propinano, stupidi modelli, macchine di lusso e telefonini cellulari; se non sei in condizione di permetterti queste cose e non hai culturalmente le spalle forti è facile imboccare una strada del genere».
Vi sentite parte di un movimento che non rinuncia ad una esplicita presa di posizione "politica"; vi considerate portavoce di larghi strati di giovani che intendono intervenire sulla reaità, per cambiarla?
«Prendiamo atto della realtà, non senza amarezza, e la commentiamo dal nostro punto di vista, riallacciandoci alla tradizione dei neri americani e al comment style da essi praticato».
Come mai il vostro gruppo, come molti altri che usano l'italiano o il dialetto nei propri testi, fa spesso riferimento, a livello ritmico, al reggae e ai suoi derivati? È solo una questione di metrica o c'è qualcos'altro?
Torchio: «È un ritmo molto adatto a situazioni da "sud del mondo" e a Napoli ci sentiamo più vicini all'Africa che all'Europa. Il ritmo ipnotico del reggae ci sembra vicino al clima che si respira in città. L'utilizzo di ritmiche di derivazione "nera", va a braccetto con quello che diciamo nei testi, è cioè un discorso anti-razzista, di recupero di radici lontane. Lontane e vicine nello stesso tempo; ultimamente abbiamo suonato dei dub insieme a un gruppo di musica popolare, I Zezi, di Pomigliano d'Arco: usando il ritmo reggae, sul quale loro intervenivano con le tammorre. Senza dire neanche una parola ci siamo trovati subito in sintonia: una cosa naturale, un'esperienza bellissima».
Da dove deriva il nome del gruppo?
Rais: «Almamegretta significa "anima migrante", tratto da un dialetto che sta a cavallo tra il tardo latino e gli inizi del volgare. Ci è piaciuto perché non è né italiano né dialetto e rispecchia fedelmente la nostra attitudine a "saltellare" da un punto all'altro del pianeta, alla ricerca delle radici profonde».

Aggiornato Venerdì, 09 Settembre 2005
Ultimo aggiornamento ( Martedì 28 Luglio 2020 11:42 )